Antonio Cassano, ancora tu?

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cassanoAntonio Cassano da Bari vecchia avrebbe potuto rappresentare un modello di campione. Sarebbe bastato fare leva sulla semplicità e la simpatia, con la concessione di qualche battuta veniale per restare nello scherzo che a lui tanto piace. Invece la sua carriera è contrassegnata inevitabilmente da episodi che, più o meno periodicamente, cancellano il ricordo della bravura tecnica per lasciare posto a comportamenti non proprio esemplari. Perché ciò debba accadere non si riesce a spiegare. Ogni piazza in cui ha giocato lo ha visto protagonista nel bene, con le straordinarie funambolerie di cui è capace, e nel male con linguaggi non certo accademici e neppure gesti da dieci in condotta. Cosa gli prende a un certo punto del rapporto? Si logora, per insofferenza? Si stanca e ha bisogno di rigenerarsi? Dagli spogliatoi dell’Inter è rimbalzata la cronaca di un diverbio che lo avrebbe visto protagonista con mister Stramaccioni, il quale, correttamente, giudica i fatti interni come tali e non gradisce che vengano riportati, se non gonfiati, all’esterno. Ha ragione il tecnico nerazzurro quando afferma che le discussioni devono nascere e morire tra quattro mura ed essere gestite da uomini e tra uomini. Ma se c’è stata eco di cassanata, evidentemente si è andati al di là della misura. C’è dispiacere nell’apprendere che anche in casa Inter l’estroso Cassano si sia lasciato andare. Peraltro con un tecnico il cui stile e la cui compostezza sono proverbiali. Cassano salta la pure importante trasferta di Catania. Con o senza presunto diverbio, l’esclusione poteva starci comunque, considerato che il talento pugliese ha accumulato più minutaggio degli altri attaccanti. Fuori causa Milito, restano lui, Palacio e Rocchi. E Stramaccioni, ad eccezione degli impegni più importanti anche in campo europeo (dove Rocchi non può essere impiegato), è tentato di giocare con una sola punta di ruolo. Cassano forse non sarà d’accordo, ma se c’è stato diverbio, l’episodio va a inanellarsi nella lunga serie che lo ha visto litigare con allenatori (Fabio Capello in primis), arbitri (gesto delle corna e lancio della maglia), compagni di squadra, presidenti (il compianto Garrone lo considerava un figlio). Peccato, perché vederlo giocare è un privilegio e in maglia azzurra potrebbe ancora toccare il cielo con un dito.

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