Paolo Bettini e Luigi Ganna, due mondi di un ciclismo parallelo

Il pluricampione del mondo alla presentazione del libro di Stefania Bardelli "40,405" alla Biblioteca dello Sport di Seriate.

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Due volte campione del mondo (2006 e 2007), Medaglia d’oro alle Olimpiadi di Atene nel 2004; vincitore di due Giri di Lombardia, di due Liegi-Bastogne-Liegi, di una Milano-Sanremo, per non contare tutte le classifiche dei Grandi Giri e delle corse in linea, tanto per gradire. Questo è Paolo Bettini da Livorno, campione del ciclismo italiano e poi Commissario tecnico della Nazionale italiana dal 2010 al 2013.

Paolo Bettini è stato ospite d’onore alla Biblioteca dello Sport Nerio Marabini di Seriate. Paolo Marabini si è inventato una serata speciale sul ciclismo. L’occasione è stata data dalla presentazione del libro di Stefania Bardelli, incentrato sulla figura di Luigi Ganna (edito da Sunrise Media).

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Biblioteca dello sport
Luigi Ganna

Perché non creare un parallelismo tra questi due mondi? Il ciclismo eroico di Ganna, il re del fango, l’uomo che ha vinto la gran fondo di 600 km. corsa per più di 22 ore; vincitore di quella corsa popolare in giro per l’Italia che contemplava tappe da 400 chilometri da percorrere con bici di 16 chili su strade non asfaltate, e il ciclismo moderno di Paolo Bettini.

Così la serata si è composta. Marabini ha pensato anche alla data: il 1° dicembre, proprio il giorno in cui nel 1883 è nato Ganna. Stefania Bardelli lo descrive dando di lui l’idea non solo del campione, ma anche dell’imprenditore. Di chi si è inventato la linea per la bicicletta e la motocicletta Ganna. 80 pagine tutte da gustare. E per titolo si è scelto un numero: 40,405 che è esattamente la media oraria del record dell’ora stabilita da Ganna al Velodromo di Milano, rimasto imbattuto per 6 anni.

A Seriate sono accorsi molti campioni del ciclismo per salutare Bettini e ascoltare i suoi racconti a partire da Mario Lanzafame, Dino Zandegù, Flavio Giupponi, Riccardo Minali, Mirko Testa, Gianluca Valoti, Dino Salvoldi e Roberto Marchesi. Un parterre veramente gratificante.

I gesti dei campioni rimangono indelebili nella memoria di chi li ha vissuti e di chi ne legge la storia. Sono lì, come incisi su pietra, che riemergono attraverso le immagini e gli scritti dei giornali sportivi, attraverso i video delle registrazioni dei programmi televisivi. Il tempo, poi, lava via le scorie lasciando brillare in modo pulito soltanto l’atto estremo, quello della medaglia, o della maglia iridata.

Col disincanto del cinquantenne, ormai non più protagonista delle cose ordinarie del mondo del ciclismo di oggi, Bettini si permette di lanciare qualche frecciata al sistema, alla politica, alle mancanze che non permettono uno sviluppo armonioso dello sport a due ruote.

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Paolo Bettini (Foto e.p.)

Da ex commissario tecnico la prima constatazione la rivolge ai giovani. “Il ciclismo è uno sport di fatica, è fatto di sofferenza e chi è povero è avvantaggiato – dice Bettini citando un passaggio del libro -. Ma io vedo che i giovani di oggi non hanno fame. E forse è anche per questo che in Italia in questo periodo non abbiamo campioni assoluti”.

Come lo erano un tempo. C’è una cosa che rattrista Bettini ed è il fatto “che tutte le più forti squadre del mondo hanno in formazione personale qualificato italiano, dal meccanico al team manager”. Mentre in Italia non abbiamo più squadre come lo erano un tempo, quando qui e in Belgio si faceva la storia del ciclismo.

Quando vedo che con il costo di un solo cartellino di un giocatore di alto livello nel calcio si potrebbero fare tre squadre di professionisti del ciclismo, mi viene male”. Bettini ha tante frecce da lanciare con il suo arco. “In Italia non si favorisce lo sport. Non si fa più sport nelle scuole. Perché? Per non parlare del ciclismo che se lo vuoi praticare non ti resta che la strada, quando tutti gli altri sport hanno un posto dove poter andare e svolgere l’attività in sicurezza. Sogno di poter vedere degli impianti dove accanto ai campi da tennis, di basket, di volley, di calcio vi siano anche le strutture adatte per le bici”.

Da Commissario tecnico Bettini ha sempre voluto inculcare nei campioni che ha avuto sotto la sua ala il valore della partecipazione alla maglia della Nazionale. “Ciò che ho capito fra tutte le mie vittorie – sottolinea Bettiniè che la medaglia a cui tengo di più è quella vinta ad Atene. È la medaglia olimpica. Più ancora che i due mondiali. Perché la medaglia olimpica è il segno di aver dato alla mia nazione il punto più alto”. E ricorda come Eddy Merkx, che nella vita ha vinto di tutto e di più, era quasi invidioso del figlio Axel che aveva vinto il bronzo ad Atene. L’unica medaglia che Merckx non aveva vinto.

Oggi Bettini si dà al gravel. “Non ci rimane che il cicloturismo. Siamo tutti un po’ alla ricerca del ciclismo storico, vogliamo la polvere, le strade bianche che sono tornate così di moda”. E il pensiero torna a Luigi Ganna che, forse, la polvere la odiava e avrebbe tanto voluto poter correre su strade lisce e ben asfaltate.

L’ultimo aneddoto Bettini lo riserva al periodo post commissario tecnico della Nazionale. “Lasciai la Nazionale perché Fernando Alonso aveva un progetto per costruire una squadra tutta sua e mi coinvolse in qualità di direttore tecnico. Poi, però, non se ne fece più nulla. Grazie Bettini per questa serata di ricordi di tante emozioni vissute da tifosi e per dare al ciclismo un volto umano. “Mi piace – chiosa in fine – quando si corre tra due ali di folla festanti. Ti dà energia“. Questo è il ciclismo.