“Riconoscere il dono della vita ed essere altruisti”, ad Albino la testimonianza di Confortola e Bernardi

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di Marco Cangelli
“Da soli si va veloci, ma soltanto insieme si può andare lontano”. È questo il mantra che si ripete talvolta in montagna dove il lavoro di squadra è fondamentale per superare le difficoltà che la natura pone lungo il percorso, che si tratti di un tracciato alpinistico oppure una pista da sci.

Ciò che conta maggiormente è darsi l’un l’altro una mano e sviluppare quel clima di solidarietà che spesso emerge nel mondo del volontariato, ma al tempo stesso trova un ambiente ideale ad alta quota.

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La conferma arriva da Marco Confortola e Mauro Bernardi che nella serata di sabato 29 ottobre hanno animato l’incontro “La montagna, palestra di vita e solidarietà” andato in scena all’Auditorium Comunale di Albino.

L’appuntamento, inserito nella rassegna “Capitale per sempre” promossa dalla Provincia di Bergamo è stata l’occasione per raccontare come la passione per le cime e per la neve, ma soprattutto per mostrare l’importanza del volontariato fondamentale per la ripartenza dopo il dolore lasciato il Coronavirus.

Bisogna essere altruisti come in montagna, essere ottimisti e dare sempre il buongiorno indipendentemente da come vada. La gente di montagna ce lo dimostra grazie alla loro indole che li spinge ad aiutare gli altri e a esser maggiormente gratificati. Io devo essere grato ai medici e al personale sanitario che hanno messo la loro vita al servizio degli altri durante la pandemia, così come i volontari che, nonostante le difficoltà incontrate in quel periodo, non hanno smesso di lavorare – ha spiegato Confortola –. Se siamo qui attualmente liberi è perché abbiamo rispettato le regole, ma anche perché medici e personale sanitario hanno lavorato per superare quella mancanza di conoscenze che ci impediva di evitare una morte talvolta particolarmente veloce. Oggi non bisogna dimenticare quanto sia importante il dono della vita ogni giorno che ci svegliamo, così come il sorriso che va donato agli altri. A tal proposito grazie all’équipe del Soccorso Alpino dove presto servizio spesso mi capita di ridare il sorriso a persone che soccorriamo in montagna, così grazie a una serie di associazioni sono riuscito a costruire una scuola in Nepal dopo il terremoto del 2015 e ridare una speranza ai bambini che desideravano soltanto cibo e istruzione“.

Nonostante esperienze diverse, sia Confortola che Bernardi hanno vissuto il lato più complesso della propria esistenza avendo a che fare con incidenti che hanno cambiato radicalmente la propria vita quotidiana.

Se l’alpinista valtellinese ha dovuto affrontare l’amputazione delle dita dei piedi durante una missione sul K2 nel 2008, il maestro di sci alpino originario di Colzate ha dovuto fare i conti con un grave incidente stradale nel 2005 che lo ha portato a perdere l’uso delle gambe.

Ciò non ha impedito loro di individuare nel mondo dell’alta quota una nuova via da percorrere e consentire a tutti di dedicarsi agli altri, portando grande attenzione ai più deboli, dai giovani agli anziani.

Per comprendere ciò è necessario talvolta l’aiuto dei familiari come nel caso di Bernardi che ha conosciuto approfonditamente l’importanza del ruolo del volontario grazie alla mamma e alla moglie Claudia che sono rimaste vicine anche nei momenti di maggiore insicurezza.

Ho iniziato ad apprezzare quanto fanno i volontari vedendo mia mamma portare dopo il lavoro gli esami del sangue agli anziani soli. Mi domandavo perché lo facesse e inizialmente non lo capivo così come non capivo perché da bambino i membri della San Vincenzo di Vertova portassero alla mia famiglia cibo e giocattoli dopo l’allontanamento di mio padre a causa di alcune violenze domestiche e come il mio papà adottivo Giuseppe avesse deciso di prendersi sulle spalle una famiglia con quattro figli non suoi. Crescendo sinceramente ho pensato a evitare di vivere quanto avessi vissuto sino a quel momento e così ho puntato ad aver euna certezza economica, concentrandomi sul lavoro e sul guadagno che giungesse da quello – ha raccontato il segretario di Enojyski Sport OVD -. Eppure, dopo pochi mesi che mi ero sposato con Claudia, il 31 agosto 2005 ho visto quel magico castello crollare e lì ho iniziato a farmi delle domande non avendo più risposte in merito al mio futuro. Grazie ai membri dell’Associazione Disabili Bergamo ho iniziato a mettermi a disposizione degli altri istituendo un punto informazioni e da lì ho iniziato a sentirmi utile percependo il valore umano. Lo stesso messo in campo da Claudia, da quegli infermieri e da quei vigili del fuoco che mi hanno estratto dalle lamiere e che quando a febbraio li ho conosciuti mi hanno detto ‘abbiamo fatto il nostro lavoro’. Eppure se non avessero fatto bene il loro lavoro, non mi sarei salvato“.

La serata si è inserita in una iniziativa più ampia realizzata dall’ente provinciale in vista dell’istituzione della “Capitale Nazionale del Volontariato” che ha visto Bergamo raccogliere per prima il testimone nel corso del 2022.

Un riconoscimento che è stato destinato dal Centro Servizi Volontariato e dall’Anci al capoluogo orobico in seguito al grande lavoro compiuto sia prima che durante la pandemia da Coronavirus e che ha lasciato tracce indelebili sul nostro territorio, mai domo di fronte alla pressione compiuta da questo temibile “nemico”.

Bianchi e Amaglio

Essere la prima Capitale Italiana del Volontariato non è certo facile, anche perché questa idea è arrivata prima che la pandemia ci colpisse. In occasione delle celebrazioni per la capitale europea andata in scena a Padova nel 2020, il Presidente della Repubblica ci ha proposto questa idea e prontamente sono riuscito a portarla a Bergamo – ha sottolineato il presidente del Centro di Servizio per il Volontariato di Bergamo Oscar Bianchi a cui hanno fatto eco le parole del consigliere provinciale Damiano Amaglio -. Questo riconoscimento è sì importante, però è compito delle istituzioni guardare oltre e ripartire dopo la pandemia attraverso il volontariato e l’associazionismo è fondamentale. ‘Capitale per sempre’ è quindi la necessità di poter gettare dei semi per il futuro al fine che si possa andare oltre quest’annata“.

In quei giorni più bui del lockdown, Albino e l’intero territorio ha saputo resistere e non farsi soverchiare dal virus grazie al contributo dei numerosi volontari che sono scesi in campo e che sono stati premiati dal sindaco Fabio Terzi e dall’onorevole Rebecca Frassini.

Fabio Terzi

Un esempio che ancora oggi rimane fisso nella memoria dei cittadini per reagire al periodo di crisi che stiamo vivendo: “Per un amministratore locale il mondo del volontariato costituisce una risorsa indispensabile. Gli enti locali hanno sempre bisogno di persone e, senza di voi, non riusciremmo ad arrivare ovunque – ha illustrato il primo cittadino seriano -. Durante il Covid ho fatto fatica a tenere a casa le persone perché in molti volevano andare ad aiutare i più deboli e non potevo permettermi di metterli a rischio. Ho quindi messo in campo soltanto gli agenti della Polizia locale e della Protezione civile. A partire da aprile abbiamo costituito un gruppo di volontari civici di circa novanta persone che hanno distribuito materiale sanitario. Lì ho notato come non fosse venuta a mancare la speranza nonostante le difficoltà“.

Confortola e Bernardi hanno infine lanciato un importante messaggio agli albinesi e in particolare ai più giovani che saranno il futuro della nostra comunità e che avranno il compito di ridare una speranza dopo il periodo vissuto nel corso della pandemia.

La sala gremita

Un messaggio carico di speranza e di ottimismo, aspetti necessari per poter ripartire e vivere la vita appieno donandosi agli altri e comprendendo il vero senso dell’esistenza: “Il presente è il dono più bello e che abbiamo da dare agli altri. Se si riesce a trasmettere quella speranza che i volontari offrono, allora forse riusciremo a far comprendere quanto facciamo ai nostri figli perché quel che lasciamo qui sono le opere – ha concluso Bernardi -. Non capisco perché talvolta sia necessario affrontare una disabilità per comprendere tutto ciò, però talvolta è necessario mettersi nei panni degli altri per intuire queste cose. Quando in quelle due ore in cui ero rinchiuso dentro le lamiere, piangevo perché avevo paura di morire. Era troppo tardi per capire quanto fosse importante vivere la vita e a quel punto ho vissuto quella svolta comprendendo ogni giorno come essere vivi sia un vero dono“.