Dalla sfida all’odio

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Diciamolo una volte per tutte: siamo stanchi di polemiche e di doverci confrontare con il partito dell’arbitro che sbaglia e quello dei poteri forti. Il calcio fatto di tuoni e fulmini, j’accuse e ritorsioni, intercettazioni e carte bollate, non è lo sport a cui milioni di italiani si sono appassionati, spesso facendo sacrifici economici per regalarsi un posto allo stadio o l’abbonamento alla paytv. Una volta era il derby d’Italia, con sano e acceso agonismo tra i colori nerazzurri e bianconeri. Il primo dispetto tra l’Internazionale di Milano e la Juventus di Torino risale al 1961, quando il Biscione decise di scendere in campo con la squadra giovanile nelle cui file giocò, segnando un gol su calcio di rigore, nientedimeno che il figlio d’arte Sandro Mazzola. In quella partita Omar Sivori realizzò ben sei reti, ma non se ne vantò, perché si sa che la vittoria assume maggiore prestigio quanto più forte è l’avversario che hai di fronte. Nel 1967 l’Inter in una settimana distrusse il mito della squadra pigliatutto, perdendo la finale di Coppa dei Campioni contro il Celtic Glasgow, la semifinale di Coppa Italia con il Padova e all’ultima di campionato gettò via lo scudetto perdendo a Mantova con una papera storico del portiere Giuliano Sarti. Ma allora la Juventus non poté che ringraziare e fregiarsi in modo insperato del titolo. Per tornare alle polemiche bisogna saltare alla sfida tra la squadra di Del Piero e quella di Ronaldo, con il brasiliano che impattò contro Juliano in area bianconera chiedendo, senza ottenerla, la massima punizione e la Juve che, su capovolgimento di fronte, andò a segno. Da quando, nel 2006, la Juventus è stata costretta a ricominciare dalla serie B, pagando a caro prezzo la responsabilità oggettiva, e rinunciare ai titoli vinti sul campo, consegnandone uno all’Inter, ogni occasione sembra buona per innescare guerre mediatiche. Il problema vero è che a gestire l’informazione, spesso fatta di strali, è il web in senso lato, attraverso cui pure il nostro giornale commentario trova spazio e si esprime. Insomma, tutto quel che si dice, nel bene e nel male, finisce nel calderone e sfugge al controllo del giornalismo tradizionale, che può solo moderarlo e argomentarlo.

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