Cassano e la fragilità del campione

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Il malore che ha colpito Antonio Cassano al termine del viaggio di ritorno della comitiva milanista dalla vittoriosa trasferta a Roma ci rimanda alla vulnerabilità dell’essere umano, dalla quale lo sportivo non può sentirsi immune. Le gesta del campione sono racchiuse nelle circa due ore che trascorrono dall’apparizione in campo al rientro definitivo negli spogliatoi. Al di fuori dalla prestazione agonistica riassunta nel film della partita e raccontata dalle varie angolazioni delle telecamere, resta una vita sempre sotto i riflettori, tra immagini rubate, indiscrezioni, dichiarazioni certe e quelle male interpretate. Eravamo abituati, anzi a dire il vero proprio per niente, alle cassanate, che facevano male solo in quanto le mirabili gesta calcistiche da cineteca venivano soppiantate da comportamenti gratuiti e fuori luogo. Antonio Cassano sta stretto nel suo personaggio, in realtà ha bisogno di esprimersi nella sua naturalezza, ama lo scherzo più di quanto non s’immagini. Sa essere, e dovrebbe solo essere, un campione di simpatia. Come l’Araba Fenice è risorto in azzurro e ha ritrovano numeri da favola in rossonero. Il cuore dello sportivo si augura che possa riprendersi e tornare a calcare la scena calcistica, perché il pallone ha bisogno di chi lo tratti bene. Nelle ore in cui i medici che lo hanno in cura si apprestano ad eseguire esami clinici accurati per emettere una diagnosi certa sulle cause del malore, non si può che augurare ad Antonio Cassano una completa ripresa e il rapido superamento del problema neurologico. Nel contempo, che possa tornare a una vita normale e all’affetto della famiglia, e infine risultare idoneo a continuare, come merita, a recitare sul palcoscenico del calcio.

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