Il signore del Monte Bianco: Oliviero Bosatelli e le storiche imprese al Tor des Geants

Il 53enne di Gandino ha raccontato la propria esperienza nel mondo dell'ultra trail in occasione del tradizionale appuntamento con "I venerdì dello Studio BNC".

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Oliviero Bosatelli non si ferma mai nonostante le fatiche iniziano a farsi sentire. Dopotutto il 53enne di Gandino rappresenta uno dei pilastri del mondo dell’ultra trail internazionale complice i due successi al Tor des Geants, 350 chilometri da affrontare all’ombra del Monte Bianco.

Nonostante i problemi fisici che con il passare del tempo iniziano a pesare sul fisico, il vigile del fuoco seriano non è mai riuscito a frenare l’attrazione che solo la montagna sa offrire come raccontato nel tradizionale appuntamento de “I venerdì dello Studio BNC”.

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Oliviero Bosatelli, come si è avvicinato al mondo dell’ultra trail? Cosa l’ha spinta ad affrontare gare così lunghe?
“Ci si avvicina passo dopo passo visto che si sta parlando di lunghe distanze. Il nostro fisico non è predisposto a fare questi sforzi. Ho iniziato comunque da giovane con la corsa in montagna, con qualche maratona e mezza maratona anche perché allora non c’erano queste competizioni. Poi, a 27-28 anni, fra il lavoro da vigile del fuoco e l’attività della moglie, ho fatto una lunga pausa senza più far un’attività sportiva che riguardasse la corsa. Verso i 45 anni sono tornato ad andare in montagna facendo qualche gara. Nel frattempo erano nate queste nuove tipologie di kermesse che prevedevano lunghe distanze e che mi affascinavano particolarmente. Mi sono appoggiato a queste corse, ma non sono partito subito con 300 chilometri, ma a piccoli passi ho incrementato la difficoltà e, notando che andavo bene, ho provato a far il Tor des Geants e alla prima partecipazione ho subito vinto”.

Come ci si allena per poter percorrere dai 100 chilometri in su, talvolta con migliaia di metri di dislivello da superare?
“La base è correre all’aperto per parecchie ore, magari non tutti i giorni, ma comunque con una certa continuità, almeno 4-5 allenamenti a settimana. A seconda della fase della preparazione si può passare dal rimanere fuori un’ora a sei o sette, ovviamente in base al tempo che uno ha. Bisogna anche imparare a mangiare mentre si compie lo sforzo, per cui quando si esce per fare i lunghi magari si fanno tre o quattro ore la mattina per poi fermarsi per pranzare e ripartire. Insomma, è necessario abituare muscoli, nervi e stomaco a sopportare determinate fatiche e ore e ore di sforzo continuo”.

Quale regime alimentare va seguito per affrontare prove di questa tipologia?
“Io sono un po’ un atleta anomalo perché, anche se non dovrei, il regime alimentare lo snobbo sempre. Ovviamente a chi ambisce determinati risultati il regime alimentare dovrebbe prevedere di non mangiare troppo per evitare di aumentare di peso perché ogni chilo in più è uno sforzo in più da compiere e si ottiene un’andatura più lenta. Facendo molti chilometri brucio ciò che mangio e infatti uno dei miei motti è “non mangio per correre, ma corro per mangiare”. Ovviamente dipende dagli obiettivi: se uno ambisce alla classifica, bisogna aver un regime alimentare corretto, poi in gara la decisione deve andar di pari passo con la distanza. Se è breve, si va tendenzialmente di gel perché non si ha tempo per mangiare. Se è più lunga, si ha un’alimentazione più vicina a quella quotidiana, anche se un pochino più light. Magari si punta sulla pasta al pomodoro, sul riso o sul brodo così da riacquistare parte delle calorie che si bruciano”.

In caso di maltempo durante una gara, come affrontate le intemperie? Avete un modo per ripararvi un minimo?
“Da una parte ci si regola sul meteo che è presente in quella zona e in quel periodo portando nello zaino o nella borsa vita, si porta dietro la maglia lunga o il k-wey. Ovviamente dipende molto dalle condizioni climatiche che ci sono in quel periodo, anche se può capitare che parti con 30 gradi, quindi ti vesti con pantaloncini e maglietta, e poi man mano che sali, devi aver l’occorrente per coprirti per non rischiare di avere freddo, soprattutto a quote superiori i 3000 metri. Anche in quel caso bisogna sapersi vestire e svestire nei momenti giusti. Fondamentale è conoscersi e conoscere le condizioni climatiche”.

Nella sua carriera ha affrontato numerose gare, ma senza dubbio quella che spicca maggiormente è il Tor des Geants. Ci racconta cos’è questa esperienza così complicata?
“Ho avuto tante belle esperienze e vittorie, però quella più blasonata è il Tor des Geants. Avendola vinta per due volte, mi ha reso un po’ più celebre anche a livello internazionale. Questa gara l’ho affrontata per sette volte, ma non sempre fila tutto liscio e ci possono esser degli imprevisti che ti costringono al ritiro, come avvenuto nel 2022., Quest’anno, sapendo di non esser al top e di potermi giocare il podio, l’ho presa molta tranquilla partendo con un’andatura molto più lenta del solito, dove erano presenti le basi vita mi fermavo sottoponendomi ai massaggi del caso. Quando transitavo nei vari rifugi, mi fermavo a chiacchierare con chi era presenta a far assistenza, quindi l’ho vissuta in maniera totalmente diversa rispetto a quando lo si fa a livello competitivo. L’ho finita nonostante abbia avuto numerosi problemi di vesciche che in passato non ho mai dovuto affrontare, però diciamo che l’ho vissuta in maniera rilassata”.

Lei è riuscito a vincere sia nel 2016 che nel 2019, entrando di diritto nella storia della competizione. C’è qualche segreto per compiere questa impresa?
“Innanzitutto bisogna esser predisposti fisicamente perché conosco persone che dedicano anima e corpo per la preparazione atletica e magari io con la metà di quello che fanno loro faccio meglio. Oltre a questo aspetto genetico, c’è tutta una componente di sacrifici da affrontare perché tante volte si è costretti ad allenarsi in condizioni climatiche complicate, anche quando non si ha voglia. Inoltre si rimane fuori la notte senza dormire e io non mi sono mai allenato perché mi viene spontaneo. Quando ho fatto il Tor, la maggior parte delle volte sono partito e sono giunto al traguardo senza mai dormire. Sono probabilmente doti che posseggo di mio”.

Oltre ad esser un ultratrailer, nella vita sappiamo che lei fa il vigile del fuoco. Come si possono far coesistere questa professione con la passione per la corsa in montagna?
“Posso esser felice perché fare il vigile del fuoco, mi consente di potermi allenare. L’unica pecca è che le nostre gare durano tre o quattro giorni per cui, quando manca il personale sul lavoro, a volte non posso partecipare. Motivo per cui devo selezionare quali affrontare, anche sulla base della distanza”.

In passato l’abbiamo vista trionfare anche nella nostra città complice la vittoria all’Orobie Ultra Trail. Questa competizione purtroppo non si svolge più da qualche anno. Non le manca una kermesse di questo tipo che possa unire le nostre montagne alla città?
“L’Orobie Ultra Trail è quella gara che mi ha consentito di prendere coscienza delle mie capacità atletiche su queste distanze. Alla prima edizione ho preso parte perché, non avendo moltissimo tempo, ho valutato la vicinanza a casa. Sapevo che in un giorno e mezzo avrei risolto tutti e, con mio stupore, arrivai secondo. Un mese dopo feci ancora una volta una gara di 170 chilometri circa e ho vinto. L’Orobie mi ha quindi dato la possibilità di mettermi in gioco e sapere di poter ottenere certi determinati risultati. Ho ottenuto due vittorie, un secondo e un quarto posto quindi mi ha dato molto. La cosa più bella probabilmente è arrivare in centro a Città Alta e mi spiace che non si sia più svolta perché poche gare possono offrire uno scenario di questo genere. Spero che qualche società o qualche gruppo possa riprendere in mano questa competizione anche perché, con il passare degli anni, stava diventando sempre più importante anche a livello internazionale”.

A proposito delle Orobie, ci sono dei percorsi che lei consiglierebbe di affrontare proprio per prepararsi al mondo dell’ultra trail?
“Le nostre Orobie sono tutte belle. È solo una questione di quanti chilometri si vogliano fare. Io in genere faccio sempre degli anelli e si può passare da percorsi da quindici chilometri ad altri da quaranta. I nostri percorsi sono molto allenanti perché, chi è venuto a gareggiare qui, li ha sempre molto impegnativi”.

In conclusione, a fronte di una carriera ormai costellata di successi, qual è il sogno che Oliviero Bosatelli vorrebbe completare?
“Alla mia età probabilmente la carriera è già finita, tant’è che sono tre o quattro anni che non riesco più a prepararmi come vorrei a causa di un problema al tendine, quindi non riesco ad affrontare allenamenti impegnativi e competitivi. Il mio sogno è di risolvere il problema e far di nuovo un bel risultato al Tor des Geants per poter esser ancora competitivi. Ovviamente non solo lì perché ci sono gare molto belle che ti danno grandi soddisfazioni. Se una persona riesce a correre ti offre l’opportunità di conoscere luoghi nuovi e culture diverse, dove ci sono determinate tradizioni che difficilmente avremmo scoperto”.