Rifugio Fratelli Calvi, meta obbligatoria per gli escursionisti fra dinosauri misteriosi e il tragico ricordo di una famiglia di combattenti

Secondo appuntamento della rubrica "A Passo Lento" che raggiunge le fonti del fiume Brembo.

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Le nostre montagne ospitano alcuni luoghi particolarmente amati dagli escursionisti tanto da diventare dei veri e propri must.

E’ il caso del Rifugio Fratelli Calvi, un luogo dove non solo si può apprezzare tutta la bellezza delle Orobie in ogni stagione, ma soprattutto ci si può immergere nella storia dell’alpinismo e non solo.

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Dietro la struttura posizionata all’ombra del Pizzo del Diavolo di Tenda e del Diavolino si nascondono le tracce di un lungo cambiamento che ha interessato la natura per milioni di anni e che ci ha restituito uno dei paesaggi più affascinanti dell’intera provincia di Bergamo.

Lago Fregabolgia
Il Lago Fregabolgia coperto dalla neve © Marco Cangelli

Posto a 2015 metri sul livello del mare affacciato sulle acque limpide del Lago Fregabolgia, l’edificio venne realizzato nel 1935 dal CAI di Bergamo su spinta dell’aviatore Antonio Locatelli il quale decise di dedicarlo ad Attilio, Santino, Giannino e Natale Calvi, militari e ufficiali degli Alpini scomparsi a ridosso della Prima Guerra Mondiale.

Originari di Piazza Brembana, i tre fratelli trovarono la morte proprio sulle amate montagne con i primi due che persero la vita durante il conflitto lungo il fronte italo-austriaco, mentre per Giannino e Natale il destino fu ancor crudele.

Terminato la guerra, il più piccolo dovette far i conti con le conseguenze dell’influenza spagnola che, come migliaia di persone in tutto il mondo, se lo portò via all’ospedale di Padova nel 1919, mentre lo stesso anno il capostipite della famiglia si spense precipitando dalla parete nord dell’Adamello durante un’ascensione solitaria.

Una storia particolarmente triste per una casata legata a doppio filo ai monti della Val Brembana e che ha visto alcuni dei suoi componenti più giovani perdere la vita proprio in quell’ambiente costellato di vette.

Pizzo del Diavolo
Il Pizzo del Diavolo e il Monte Aga sullo sfondo © Marco Cangelli

Un po’ come per il rifugio a loro dedicato dove è possibile scorgere le sorgenti del fiume Brembo situate lungo le pendici del Diavolo, ma anche cime amate sia dagli alpinisti che dai geologi come il Monte Aga, il Monte Grabiasca e il Monte Madonnino che fra i propri blocchi di ardesia nascondono tracce ben più antiche, addirittura risalenti a quasi 300 milioni di anni fa.

Già durante gli anni Trenta numerosi scienziati provenienti da tutto il mondo raggiunsero il cosiddetto “bacino di Carona” per studiare le impronte fossili di animali racchiuse in frammenti di roccia e citate nel 1935 dallo studioso olandese Jean Jacques Dozy che descrisse la propria scoperta in un opuscolo intitolato “Alcune orme del Permiano inferiore delle Alpi Bergamasche”.

Nel corso dei decenni gli studi sono continuati consentendo di identificare gli autori di quei segni, ma soprattutto di scorgere tre tracce appartenenti a una specie sconosciuta come segnalato nel 1999 dai ricercatori del Museo di Scienze Naturali “Enrico Caffi” di Bergamo.

Secondo le ricostruzioni svolte, gli animali sarebbero vissuti fra i 260 e i 290 milioni di anni fa in un ambiente alquanto diverso dall’attuale, composto da un lago circondato da vulcani in continua eruzione.

I cambiamenti compiuti nel corso dei millenni hanno restituito una vallata particolarmente florida e piena d’acqua, come dimostrato dal Lago di Carona (1100 metri) dove prendono il via i percorsi che conducono al rifugio.

Il tracciato principale è sicuramente quello indicato dal sentiero CAI numero 210 che, senza un’eccessiva pendenza, segue la strada sterrata di servizio utilizzata dall’ENEL per circa mezz’ora prima di incontrare l’antico borgo di Pagliari (1314 metri).

Cascata Val Salbuzza
La Cascata della Val Salbuzza ghiacciata © Marco Cangelli

Risalente con buona probabilità al Seicento e caratterizzato dai tetti in ardesia e dalle sue case in pietra locale, il piccolo abitato ha rappresentato per secoli un punto d’appoggio decisivo per i numerosi contrabbandieri intenti a raggiungere la Valtellina e quindi i Grigioni senza dover passare dai serrati controlli della dogana di Mezzoldo.

Un punto di passaggio obbligatorio anche per i numerosi escursionisti che hanno modo di rifiatare qualche minuto e di dirigersi volendo lungo il sentiero CAI numero 247 cosiddetto “estivo” in quanto usufruibile durante la bella stagione.

Proseguendo invece lungo il tracciato originale è impossibile non notare l’affascinante cascata di Val Salbuzza, un salto d’acqua creato dal Brembo che veloce si dirige verso valle dove, prima di incontrare l’abitato di Carona, si imbatte in una seconda cascata più nascosta, quella “del Pescatore” ritratta in una nota foto di Eugenio Goglio risalente al 1910.

Se le difficoltà maggiori si concentrano nella prima parte, dopo circa un’ora e mezza di cammino si incontra una piana nota come “Prà del Lac” (Prato del Lago, 1654 metri) dove si estende un ampio bacino e si dirama il sentiero CAI numero 224 diretto al Rifugio Longo.

Le acque cristalline accompagnate dagli abeti consentono all’appassionato di trekking di fare il punto della situazione e inserirsi nell’ultima parte della sua gita lunga circa ancora un’ora che lo accompagnerà prima alla diga del Lago Fregabolgia (1957 metri) e successivamente alla meta concordata.

Il paesaggio dietro il Rifugio Fratelli Calvi © Marco Cangelli

La prima decreta sostanzialmente la fine della salita e rappresenta uno dei numerosi esempi di specchi artificiali realizzati nel Novecento all’interno delle nostre valli.

In grado di ospitare 4.680.000 metri cubi d’acqua, l’invaso venne realizzato nel 1953 raccogliendo le acque provenienti dallo scioglimento delle nevi e dalle precipitazioni che consentono di produrre energia complice lo spostamento del contenuto verso il Lago di Sardegnana complice l’ausilio di una galleria.

A quel punto è necessario compiere un veloce sforzo prima di giungere nei pressi del Rifugio Fratelli Calvi dopo aver coperto circa ottocento metri di dislivello suddivisi su 7,5 chilometri e circa due ore e mezza di camminata utile per godersi uno dei panorami più belli delle Orobie.