Gibì Baronchelli si racconta: “Io eterno secondo ho vinto 80 volte… alla faccia di Moser”

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Gian Battista Baronchelli, quel corridore riservato, timido e istintivo non ce la fa. È più forte di lui. Si è ritirato nel 1989 dopo quindici anni di onorata carriera, ma il rospetto ce l’ha sempre lì, di traverso sul gozzo: ed è Moser. Di lui lancia frecciate sferzanti con ironia micidiale, subito accompagnate da un sorriso allargato come a dire: è passato tanto tempo, ora lo posso dire. La rivalità Moser-Baronchelli dura ancora oggi. I due si punzecchiano appena possono a distanza quando ne hanno l’occasione pubblica.

Ieri sera è toccato a Baronchelli, invitato alla Biblioteca dello Sport Nerio Marabini di Seriate, in un faccia a faccia con Paolo Marabini difronte a un parterre di appassionati ed ex colleghi. Baronchelli si è raccontato in grande sincerità, senza veli. “La mia carriera è stata una delusione”, ha concluso a fine serata. Una coda di rimpianto di un campione che avrebbe potuto vincere, come quando in soli 45 giorni da dilettante ha vinto Giro d’Italia e Tour de l’Avenir, cosa mai più eguagliata e che, invece, si è ritrovato eterno secondo, terzo, quarto, decimo.

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Baronchelli è ricordato soprattutto per questi piazzamenti, anche se lui ha scritto un libro: “Ho vinto 80 corse”. Sì, ma la più importante è stato quel Giro d’Italia da neoprofessionista, perso per soli 12 secondi al cospetto del cannibale Eddie Merckx. “Una beffa – dice -. Dodici secondi sono trenta metri e perdere un giro lungo migliaia di chilometri per soli 30 metri fa specie”.

Ma la condizione di eterno secondo e di “perdente” Baronchelli la giustifica con un infortunio che ha condizionato tutta la sua carriera. A Leffe durante una gara in circuito una bambina attraversò la strada e lo fece cadere. “Mi ruppi l’omero – racconta -, ma la cosa più grave è che mi subentrò l’epatite virale. Da allora non mi sono più ripreso. Ero dotato di grandi capacità di recupero durante e dopo le gare. Ma dopo la malattia e quell’infortunio non sono stato più lo stesso. L’anno dopo mi hanno fatto fare il Giro e non ho potuto vincere. Oltretutto difronte alle delusioni venivo sempre attaccato dalla stampa”.

Un altro incidente Baronchelli lo ebbe alla viglia del Mondiale a San Cristobal nel 1977. Venne investito da un’auto mentre lui scendeva in contromano. Fu per forza di cose escluso dalla squadra. Quel mondiale lo vinse Moser, ma un mese più tardi Baronchelli si prese la rivincita e vinse il Giro di Lombardia battendo proprio Moser con la maglia di campione del mondo.

Baronchelli è stato mosso più dall’orgoglio che dalla razionalità. Quella razionalità che permette a un campione di vincere. Lo ammette lui stesso: “Per vincere non basta essere forti e usare l’istinto, devi essere anche un po’ ragioniere”.

Baronchelli, forgiato dal DNA bergamasco di una famiglia arrivata dalla Valle Seriana con la mamma nativa di Nona della Valle di Scalve, è uomo schivo e schietto. La verità la dice sempre a chiare lettere come quella volta al Giro d’Italia del 1978 quando sul Passo San Pellegrino finalmente riuscirono a staccare Moser “che – racconta – fino ad allora era stato aiutato dalle spinte dei suoi tifosi, fatto non ripreso dalle telecamere televisive. Vinsi la tappa e quando andai sul palco denunciai il fatto. Torriani mi contraddisse. La giuria, dopo qualche ora, diede 12 secondi di penalizzazione a Moser per essere stato spinto”. Tra i due ha cominciato a non correre buon sangue. Anche quando si ritrovarono compagni di squadra.

Nell’85 erano alla Supermercati Baronchelli conquistò la maglia rosa del Giro che tenne per due giorni, poi sfilatagli da Saronni. Ebbene, al rientro in albergo “vidi – racconta sempre Baronchelliche nella camera dei massaggi lo staff di Moser festeggiava il fatto che avessi perso la maglia”. Nella tappa di Foppolo mi ritirai dal Giro pensando di farla finita con il ciclismo. Poi mi subissarono di critiche e dall’orgoglio emerse la voglia di cambiare squadra. “E andai a correre con il rivale che mi strappò la maglia rosa: andai con Saronni”. Vinsi il Giro di Lombardia e Moser subito a sottolineare: “Si può vincere anche andando piano”.

Gli ultimi anni sono stati anni di anonimato e Baronchelli ha un po’ tracheggiato fino al giorno del ritiro avvenuto nel 1989. Ma orgogliosamente ricorda di avere tre record: il primo è già stato raccontato e riguarda la vittoria nello stesso anno di Giro d’Italia e Tour de l’Avenir, vinti da dilettante; il secondo è quello di aver vinto sei volte consecutive il Giro dell’Appennino; il terzo è quello di essere l’unico corridore professionista che ha partecipato a dieci Giri d’Italia arrivando sempre tra i primi dieci.

Dopo il ritiro Baronchelli, insieme al fratello Gaetano suo ispiratore, ha aperto l’attività di commerciante di biciclette. Ora dopo trent’anni ha chiuso e fa il nonno. Non prima di aver raccontato della sua sfera mistica. Alla morte della mamma la fede è diventato il fulcro della sua vita. E se volete incontrare Gian Battista Baronchelli lo potete fare andando al Santuario di Caravaggio, sua meta giornaliera. E se non è lì sarà a recitare il rosario in una delle sue uscite in bici da solitario.