TimeOut Sport Festival, Bugno e Chiappucci esortano il ciclismo italiano: “Serve ritrovare la mentalità vincente”

Il due volte campione del mondo e lo scalatore varesino si sono incontrati al Vittoria Park di Brembate all'interno della rassegna sportiva.

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Gianni Bugno e Claudio Chiappucci hanno segnato un’epoca, quella fine degli anni Ottanta e inizio degli Anni Novanta che hanno restituito nuova linfa al ciclismo italiano, alla spasmodica ricerca di nuovi riferimenti dopo il calo di Francesco Moser e di Giuseppe Saronni.

Un dualismo completamente diverso, caratterizzato da grande rispetto che, nonostante siano passati oltre venticinque anni dal loro ritiro dalle competizioni, rimane ancora intatto quasi non fosse cambiato mai nulla.

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Perché sì, ci poteva essere un po’ d’invidia per le caratteristiche che uno avrebbe voluto dell’altro, ma liti o discussioni mai, come raccontato in viva voce dagli stessi protagonisti nel corso del secondo appuntamento di TimeOut Sport Festival, la rassegna organizzata da HServizi e Unica Sport sotto la regia di Emanuele Roncalli e Claudia Mangili.

TimeOut Sport Festival
Gianni Bugno e Claudio Chiappucci dialogano con Giorgio Brambilla e Marco Donadoni © Marco Cangelli

L’incontro, andato in scena al Vittoria Park di Brembate, è stata l’occasione per rispolverare i ricordi di un’epoca che stava già fuggendo e che ormai non esiste più, ma che continua a vivere nelle parole del due volte campione del mondo e della maglia a pois al Tour de France 1991 e 1992, pronti a ricordarci che lo sport deve essere inclusività e comunità.

“Se si parla di rivalità è perché abbiamo lasciato il segno in quegli anni. Partecipavamo praticamente a tutte le corse, dal Giro d’Italia al Tour de France passando per le classiche pre-Mondiali e per il Giro di Lombardia. Nonostante fossimo avversari, abbiamo condiviso praticamente tutto e ciò ci consentiva anche di riuscire a scoprire qualcosa dell’altro, cosa che al giorno d’oggi non accade più – spiega El Diablo -. Il vero problema che, a influenzare le nostre prestazioni, è stato l’inserimento del terzo incomodo, quel Miguel Indurain che ci staccava nettamente a cronometro avendo a disposizione anche 190 chilometri fra prologhi, cronosquadre e prove individuali e recuperare tre minuti in salita diventava veramente complesso”.

Nonostante il campione spagnolo fosse talvolta nettamente più forte, Bugno e Chiappucci hanno provato più volte a cambiare le condizioni di gara mettendo in atto tattiche destinate a stravolgere la corsa.

Affrontando competizioni decisamente più lunghe, senza i confort legati a pullman, abbigliamento di ultima generazione, radioline e trasferimenti chilometrici, i due avevano modo di interpretare le gare con molta più fantasia, mettendoci anche del proprio e soprattutto diventando padroni del loro destino.

Chiaramente non potevano mancare inconvenienti come quanto accaduto sul Passo Gavia nel 1988 dove, come raccontato da Chiappucci, diventava impossibile orientarsi oltre che trovare dell’abbigliamento asciutto con cui cambiarsi ed evitare il freddo pungente causato dalla fitta nevicata che si abbatté sul valico bresciano.

Tuttavia esisteva quel rispetto che portava gli atleti a evitare comportamenti che possano diventare pericolosi e causare cadute agli altri componenti del gruppo: “Una volta c’era più rispetto, si segnalavano i pericoli con un gesto e si evitavano incidenti. Oggi ci sono sempre più giovani che hanno saltato le categorie giovanili oppure vengono da altri sport, subendo così quell’inesperienza che li portano a essere sempre troppo irruenti – sottolinea Bugno -. Una volta i capitani si facevano portare davanti da uno o due compagni mentre gli altri rimanevano alle spalle, mentre oggi ci saranno almeno dieci treni, motivo per cui appena la strada si restringe, si cade. Altro pericolo è legato dalle radioline perché ai nostri tempi i senatori stavano dietro per ascoltare radiocorsa, trasmessa con i megafoni dalle moto. Oggi non sentono gli altri rumori e perdono l’equilibrio”.

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Gianni Bugno e Claudio Chiappucci © Marco Cangelli

Altra nota dolente che il campione monzese ha tenuto a precisare è la mancanza di talenti italiani, legata non tanto all’assenza di praticanti, sempre in crescita soprattutto nel settore amatoriale e del cicloturismo, ma dall’atteggiamento dei corridori e procuratori che li seguono.

“Ormai vivono nella bambagia, non decidono più nulla: hanno chi decide quanto devono mangiare, quando devono dormire, che contratti devono fare. Praticamente ragionano da professionisti già quando sono allievi e di conseguenza quando arrivano juniores sono obbligati già a rendere – chiosa Bugno -. La categoria Under 23 così com’è è destinata a scomparire e i giovani italiani o vengono portati nelle grandi squadre straniere dove imparano a lavorare per qualcuno di più forte o se rimangono nel nostro paese devono correre per squadre minori dove ti costringono a scattare da lontano per mettersi in luce. In entrambe i casi si perde la mentalità vincente e ci si accontenta di aver un contratto”.

In un contesto di questa tipologia, guidati dalla voce sapiente di Giorgio Brambilla, host di GNC Italia ed ex professionista, e dal sostegno del presidente di HServizi Marco Donadoni, ideatore di TimeOut Sport Festival con l’obiettivo di “ritrovare un collante all’interno delle comunità attraverso lo sport”, Bugno e Chiappucci si sono sbilanciati sul Giro d’Italia al via da Venaria Reale il prossimo 4 maggio lanciando una sentenza inappellabile.

“Tadej Pogacar è il favorito numero uno. Sarà necessario attendere il giorno in cui vestirà la maglia rosa, probabilmente la prima o la seconda tappa con arrivo a Oropa. Da lì il Giro sarà praticamente finito e di conseguenza si rischia di perdere interesse per la Corsa Rosa”.