Sofia Goggia racconta il suo dramma: “Ero disperata, ma non come chi è sotto le bombe di Gaza”

La 32enne di Astino ha raccontato i 45 giorni che l'hanno vista affrontare l'infortunio patito lo scorso 5 febbraio.

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Ci siamo abituati a vedere Sofia Goggia combattiva, pronta a spaccare il mondo e conquistare nuovi traguardi.

Anche quando gli infortuni la frenavano e le impedivano di conquistare quei successi che hanno contraddistinto la sua carriera.

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Una sorta di pegno da pagare con la fortuna per tutti coloro che gareggiano al limite e cercano talvolta di superarlo, muovendosi come su un filo appeso sopra un burrone.

Stavolta quella Sofia non c’è perché l’infortunio subito lo scorso 5 febbraio è stato più grave del previsto, tanto da farla pensare che non c’era altro da fare che attendere e arrendersi all’evidenza.

Il racconto proposto a quarantacinque giorni dalla caduta sulle nevi della Val Camonica durante una conferenza stampa è la perfetta dimostrazione che l’umore sia tutt’altro che quello dei tempi migliori e che per rivedere la “Super Sofi” che ci siamo abituati a conoscere servirà pazienza e sacrificio.

“Mentre stavo cadendo, ho subito capito che mi ero frantumata la tibia e non sapevo come dirlo ai miei tecnici. Mi sono tolta lo scarpone da sola e non ho sentito tutto il dolore che ho percepito dopo l’operazione, tuttavia mentre viaggiavo in elicottero verso Milano ero disperata. Per quanto la frattura della gamba per un atleta sia un dramma, ho pensato a quanto succedesse in giro per il mondo e mi sono resa conto che comunque di molto peggio, come le persone che si trovano sotto le bombe di Gaza”.

Rispetto alle altre volte che abbiamo vista Sofia guardare il bicchiere mezzo pieno e pensare già al futuro, la vice-campionessa olimpica ha dovuto far i conti con una diagnosi sconfortante che ha messo in difficoltà i medici della Federazione.

Una situazione che è stato il preludio di un recupero più complicato del solito: “Mi sono spaccata il pilone tibiale trasversalmente in più parti. Un trauma da compressione e torsione fortissimo che ha portato alla frantumazione in più parti dell’osso. La tac era molto brutta quindi le premesse per l’intervento erano complicate. Riuscire a ricostruirlo appariva veramente un’impresa difficile, tuttavia l’operazione è andata nel migliore dei modi – ha raccontato Goggia -. I primi venti giorni sono stata malissimo sia fisicamente che mentalmente. Non ero autonoma e non riuscivo né a stare in piedi nè sdraiata, faticando anche a dormire. Nonostante ciò ho iniziato subito a far fisioterapia, ma in quei momenti non riuscivo a pensare né allo sci né ad altro. Era come avere un pannello nero davanti agli occhi”.

Ad aiutarla ci hanno pensato le persone care come il papà Ezio, raffigurato in un’immagine pubblicata su Instagram poco dopo la caduta, così come l’università che sta vedendo l’azzurra impegnata a tempo pieno con l’obiettivo di sfruttare il tempo a sua disposizione per dare più esami possibili.

“Ne ho già dati due e ora ho intenzione di darne almeno altri 4-5. Attualmente sto studiando statistica e storia dei partiti politici, tuttavia avevo intenzione di studiare anche pianoforte, ma con la gamba era impossibile – ha confessato Goggia -. Ora sto decisamente meglio, la caviglia sembra bella nonostante un lungo taglio necessario per spostare lateralmente tendini e nervi prima di porre una placca che sale dalla caviglia ad L e segue tutta la tibia. Gli ultimi esami hanno dimostrato che si sta formando un callo osseo, tuttavia servirà pazienza per aver la sicurezza di stare bene. Di media ci vorrebbero sei mesi, ma visti i miei pregressi ci potrebbe voler anche meno”.

Senza esagerare con l’ottimismo, Goggia potrebbe tornare sugli sci fra giugno e luglio e da lì partire con la preparazione fisica per rafforzare il proprio fisico, nonostante sin da subito si è sottoposta agli esercizi di due fisioterapisti seguiti dai lavori in palestra e in piscina. Nessuna fretta per tornare, anche se l’intenzione di tornare in gara c’è tutta, nonostante nei primi giorni è comparso il pensiero di abbandonare tutto.

“Una volta che l’osso sarà sistemato, penseremo a come lavorare sugli sci, anche se probabilmente il recupero a quel punto sarà molto più veloce e rapido. I tempi canonici parlano di sei mesi, ma se starò bene nessuno mi impedisce di tornare prima. Nonostante sia caduta in gigante, non ho intenzione di lasciare questa disciplina gestendola come quest’anno, non partecipando a tutte le gare, ma comunque trovando più stabilità in velocità”.