Definirlo paradosso è un eufemismo. Una squadra miete successi sul campo, la società sportiva è in disarmo. Il caso Pro Patria, capolista in seconda divisione Lega Pro, anno di nascita 1919 con un passato glorioso e un presente agonistico promettente, rischia di diventare rappresentativo di un futuro plumbeo per molte realtà calcistiche italiane. Lo stadio Speroni di Busto Arsizio assiste al dissolvimento della società che una gestione scellerata ha trascinato alla bancarotta. Emblematico lo striscione che campeggiava sugli spalti domenica 16 gennaio 2011: «non si può morire in silenzio». E siccome non bastano gli appelli alla cittadinanza e al mondo sportivo, ecco che il Gabibbo annuncia il suo arrivo per denunciare una situazione paradossale. In occasione dell’ultima partita casalinga l’incasso di 6.200 euro è stato trattenuto dall’allenatore Raffaele Novelli e dai giocatori, i quali non ricevono lo stipendio e sono in procinto di essere sfrattati dalle rispettive abitazioni. L’unica garanzia fornita alla squadra sarebbe la disponibilità, da parte del nuovo proprietario, a firmare la scissione dei contratti. I tifosi hanno raccolto 1850 euro per far fronte alle spese vive e consentire il regolare svolgimento dell’ultimo impegno di campionato. Che rischia seriamente di essere l’ultimo, se qualcuno non si deciderà ad intervenire per evitare che lo storico nome della Pro Patria venga cancellato dall’albo della Lega Pro.
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